Nella storia fedeli al Signore, solidali con l’uomo

La nostra rivista ha lavorato negli ultimi4 anni ad una riflessione sulle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II. Come infatti disse san Giovanni Paolo II, il Concilio deve essete la “bussola” che guida la Chiesa nella sua vita e nella sua missione. La recezione del Magistero conciliare, poi, non sarà compiutamente realizzata se non si realizza nella Chiesa particolare. È nella Chiesa particolare che la Chiesa di Cristo vive ed opera in mezzo agli uomini, dentro alla loro vita quotidiana, per trasfigurarla in Cristo. Qual è stata l’intenzione profonda che ha generato la costituzione pastorale Gaudium et spes? In via preliminare possiamo trovare un grande aiuto nel titolo stesso. Esso dice: “Ecclesia in munda huius temporis”. Due realtà, Chiesa/ e mondo di oggi, sono considerate congiuntamente. E la loro congiunzione non è espressa con un et (Chiesa e mondo), ma con un in: la Chiesa nel mondo. Chiesa e mondo non sono pensate e considerate come due realtà costitutivamente, originariamente indipendenti ed estranee l’una all’altra. La Chiesa è dentro al mondo ed il mondo ha un rapporto con la Chiesa intrinseco. Se non ci si mette in questa prospettiva, ci si imprigiona dentro ad un groviglio di problemi di necessarie mediazioni per istituire il rapporto fra i due. L’uscita da questo groviglio o è un integralismo rigido o è un aperturismo autodistruttivo (Carlo Cafarra). È precisamente per rispondere alla domanda di come deve essere pensata e realizzata questa presenza della Chiesa nel mondo che il Concilio ha prodotto la GS. La Chiesa, poi, recependo questa Costituzione soprattutto attraverso il grande Magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, attraverso i Sinodi dei Vescovi, attraverso la grande esperienza dei Movimenti ecclesiali, ha dato origine ad una esperienza di pensiero e di testimonianza cristiana esemplare. La “chiave di volta” della risposta alla domanda di come pensare e realizzare la presenza della Chiesa nel mondo si trovi al n° 22,1 “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” [EV 1h385]. Era il testo conciliare che san Giovanni Paolo II amava maggiormente, e che si trova citato più spesso nel documenti del suo Magistero. La persona umana ha una sua propria natura; ha una sua verità, non è una “materia”,una “massa” assolutamente informe, affidata completamente ed esclusivamente alla propria libertà. Decisiva circa l’uomo  è la domanda che riguarda la sua origine: da dove viene, da dove deriva l’uomo? Ma è ancora più importante la domanda circa il suo destino finale: a che cosa è destinato definitivamente l’uomo? Quale è la vocazione dell’uomo? Il testo conciliare afferma che la risposta è Cristo, il Verbo incarnato. Gesù non insegna una dottrina circa l’uomo, la verità circa l’uomo, ma Egli stesso, la sua persona – vita – opera – parole, “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”.

È rivelando Dio come “il mistero del Padre”, che l’uomo viene a sapere interamente chi è e quale è il suo definitivo destino, la sua “altissima” vocazione. Se la verità dell’uomo e il suo destino finale è una persona, è Cristo, l’apprendimento di questa verità coinvolge necessariamente la libertà così come il consenso a quel destino. Se Cristo “rivelasse all’uomo chi è l’uomo” dando semplicemente un insegnamento circa l’uomo, sarebbe sufficiente mettere in atto la nostra ragione: comprendere il contenuto di quella dottrina, verificarne la verità. Ma poiché Cristo “rivela l’uomo all’uomo” in Se stesso e con Se stesso; apprendere la risposta significa ed esige entrare in rapporto con Lui, vivere in una profonda comunione con Lui. Questo è possibile solo se lo decidiamo liberamente. La proposta cristiana è costitutivamente una proposta che si rivolge alla libertà, poiché propone una verità che si identifica con una persona, la persona di Gesù. E l’impegno cristiano non è la “dedizione ad una causa”, ma la passione per una Persona, Gesù Cristo. E “la Chiesa non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a conti­nuare, sotto la guida dello Spirito paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito” [3,2; EV i/1323]. La Chiesa dunque non esiste per se stessa, indipendentemente da Cristo. Essa ne è la presenza continuata nel mondo. In essa e mediante essa Cristo continua la sua missione di rivelare il mistero di Dio come Padre, come amore, così rivela all’uomo interamente l’uomo e la sua altissima vocazione. La Chiesa è sulla stessa strada dell’uomo; non offre e non propone all’uomo vie alter­native alla vita umana quotidiana. La Chiesa è sulla via dell’uomo come lo fu Cristo: per condurre l’uomo alla sua vera pienezza. Di che cosa parla GS quando parla di mondo? La risposta, molto articolata la si trova al n° 2. Il “mondo” è la realtà umana nel suo faticoso costruirsi. È quindi lo sposarsi ed il dare origine alla famiglia; è il lavorare; è la costruzione di società umane sempre meno ingiuste. Insomma: è il modo in cui la persona umana dimora e si colloca nella realtà. La forma della testimonianza, con la vita e con la parola è la modalità della presenza della Chiesa nel mondo. Ambedue necessarie. Il testimone mostra una vita che attesta una Presenza: una Presenza che risponde all’invocazione del cuore; il testimone spiega con le sue parole l’evento che è accaduto: rende ragione della sua fede e della sua speranza.

Se chi lo vede ed ascolta “apre il cuore”, e chiede di “provare”, di poter verifìcare, inizia il cammino di ricostruzione dell’umanità: inizia il momerno educativo. Testimonianza educativa o proposta educativa generata dalla testimonianza: questo alla fìne ci insegna GS.